La prima volta che mi sono stupita che qualcuna ancora considerasse la parola 'strega' un' offesa per una donna è stato cinque o sei anni fa quando mia figlia, commentando una delle mie prodezze, disse ad una sua amica 'eh, sai, mia madre è una strega' e la mamma dell'amica, presente, disse 'non si parla così della mamma!' Fu allora, più o meno sei anni fa, che cominciai ad interrogarmi su cosa intendessi io nel definirmi strega e cosa percepissero gli altri. Mi sono chiesta se non fosse meglio usare un'altra parola, inventarne una nuova o recuperarne qualche altra dal passato o da altre culture. In fondo la parola strega è relativamente recente: prima dei processi inquisitori le donne sapienti semplicemente venivano chiamate con il loro nome e tutti sapevano che a loro ci si poteva rivolgere in caso di bisogno, di molti bisogni diversi, anche quello di comunità. Eppure quella parola ci parla anche di loro, delle migliaia che nei secoli sono state torturate ed ammazzate per il loro essere testimoni di una realtà sociale, culturale e politica pacifica ed egualitaria, antica come il mondo, e che doveva essere incenerita perché non ne restasse traccia nemmeno nella memoria. Portare quel nome con orgoglio è un atto politico di consapevolezza storica e di speranza. Ma c'è un rischio. Ho ascoltato e riascoltato diverse volte le presentazioni di "L'inferno è una buona memoria" di Michela Murgia eppure ce n'è una parte che è illuminante più di tutto il resto e che ho scoperto leggendolo, quella in cui si parla di uno dei limiti di Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley, uno dei libri preferiti di tutte coloro che si sentono streghe. Già Simone De Beauvoir, ci dice, aveva riflettuto sul pericolo di ridurre le donne a ventri magici, Loredana Lipperini fa notare il rischio di legare il fascino femminile non alla potenza ma al mistero: "E’ la donna selvaggia, che corre con i lupi, cara a molta simbologia contemporanea. La vestale new age. La sensitiva. E’ infine colei che si oppone alla conoscenza intellettuale con un sapere, ancora una volta altro.” E più avanti: "La magia collegata al femminile è infatti un topos radicato nel corpo delle donne, più precisamente nella loro vicinanza al mistero della generazione della vita. […] Le eroine di Zimmer Bradley sanno di essere donne potenti, ma lo sono in modo selvaggio, naturale e non culturale […] ed è proprio questa forza indomabile per gli uomini a metterle a rischio di essere declassate in un baleno da sacerdotesse a fattucchiere, da fate a streghe, da risorsa a minaccia. Nelle Nebbie di Avalon questi declassamenti avvengono tutte le volte che si verifica un travaso di potere politico a favore delle personagge e la logica è sin troppo comprensibile: finché fai la maga al servizio del tuo re va tutto bene e nessuno si farà male, ma se il tuo potere non serve a proteggere quello maschile dai pericoli, allora vuol dire che tra i pericoli che lo minacciano ci sei anche tu.” Lo so che ci sono anch'io, ne ho spesso la chiara percezione e ho scelto di essere donna selvaggia e di integrare conoscenza e intuito, studio e connessione, rivendicazione e ascolto. Vado nei boschi solo dopo aver letto pile di libri, aver discusso in cerchio fra donne su dubbi e interpretazioni, non concepisco incontri da cui non esca nuovo pensiero, nutrimento dell'Immaginario base fondamentale del passaggio alla Quinta Dimensione di cui parlava Mary Daly. Mi piace stare con donne che sfidano il mio sentire e la mia intelligenza, mi piacciono le parole difficili, i congiuntivi, godo fisicamente delle meraviglie del pensiero e questo non limita nemmeno lontanamente ma anzi amplifica la mia consapevolezza che magia è solo chiarezza di desiderio.
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Chi scrive quiAnnalisa Biancardi De Luca Battaglia. Sempre in cerca di ciò che è autentico, fra boschi, vette, valli, foreste e musei... Archivi
Febbraio 2024
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