3) Nessuna è perfetta, tutte lo siamo - spunti per un'audace depatriarcalizzazione
E siamo alla terza puntata di 'Nessuna è perfetta, tutte lo siamo - Spunti per un'audace depatriarcalizzazione". Se vuoi seguirle "in diretta" metti 'mi piace' e attiva le notifiche della pagina FB o segui il profilo IG de La Casa delle Streghe. Qui nel sito le troverai appena mi riesce di pubblicarle.
Domenica scorsa ho accennato al giudizio e mi è stato chiesto di tornarci e approfondire perché in fondo il giudizio serve in un sacco di situazioni, ci fa percepire cosa ci piace e cosa no, perché dovrebbe esserci qualcosa di male ne giudicare? Pensa a quando qualcuna ti ha detto: Non essere egoista! Come sei permalosa! Ma lo sai che sei rigida?
Il giudizio ci riduce ad una sola dimensione, nega la strepitosa molteplicità che conteniamo sia in chi lo esercita che in chi lo subisce e la sua reiterazione non fa che confermarci che è una cosa normale e naturale mentre non lo è affatto (come ogni cosa che comincia con 'mono' d'altronde).
Il giudizio, per come viene descritto nei percorsi di comunicazione non violenta, non ha a che fare con la propria personale valutazione di ciò che è giusto o sbagliato per noi ma di ciò che va bene o meno in quello che fanno gli altri, e in particolare, riguarda le loro intenzioni, ciò che muove il loro agire.
Riprendo l'esempio che mercoledì ho pubblicato come citazione da "Le parole sono finestre oppure muri" di Marshall Rosenberg: una donna dice al marito che secondo lei passa troppo tempo al lavoro e lui nel giro di pochi giorni si iscrive ad un corso di golf. Cosa pensi, tu che stai leggendo, che lei sarà contenta o no? La risposta più scontata sarebbe: no, lei lo diceva perché vorrebbe che lui passasse più tempo con lei e lui si è iscritto al corso di golf per stare meno possibile a casa con lei. Questa interpretazione ricalca perfettamente lo stereotipo della casalinga frustrata e dell'uomo d'affari che cerca svago. Ci sono mille altre possibilità: ad esempio lui ha problemi di ipertensione e lei era preoccupata per la sua salute, lui concorda e ha scelto attività all'aria aperta che lo rilassano quindi la scelta del golf fa contente tutte.
Un altro esempio: i due hanno una figlia che sta cercando uno studio in cui fare praticantato come avvocata e lui preso dal suo lavoro non se ne occupa, un campo da golf è il luogo migliore per trovare titolari di studi prestigiosi a cui proporre di darle una possibilità. Ancora: i due sono soci e amministratori di una società e lei per motivi di salute ha scelto di limitare il tempo che passa in azienda ma si è accorta che in sua assenza lui combina guai, potrebbe fare qualunque cosa e lei sarebbe comunque contenta, purché non vada in ufficio.
La nostra mente, in condizioni di mancanza di informazioni tende a riempire i pezzi mancanti con le esperienze precedenti (o, peggio, con il racconto della realtà predominante) per permetterci di interpretare la situazione in tempi brevi. Il problema, nelle relazioni fra esseri umani, nasce nel momento in cui chi abbiamo di fronte non è un oggetto pesante che nel vuoto tende a cadere e quindi dobbiamo fare attenzione che non lo faccia su un nostro piede, ma una persona il cui agire può essere mosso da così tante motivazioni e condizioni diverse che, se proprio vogliamo saperle, non possiamo fare altro che chiederle. Anche se ci sembra palese, anche se non ci vengono in mente alternative, soprattutto se ci fa male, la miglior cosa da fare per noi e per l'altra è molto semplice: chiedere.
Pensare di sapere (e magari dire a lei o, peggio, ad altre) quali intenzioni hanno portato l'altra ad agire può essere un grande atto di presunzione e una forma di violenza, anche verso se stesse. Il fatto che ci sia capitato di vivere una situazione simile e di agire in modi simili non vuol dire necessariamente che le motivazioni siano le stesse. Preciso: non sto, ovviamente, io stessa mettendo in discussione le intenzioni, ma le modalità e gli effetti che si spera di ottenere. Siamo tutte meravigliosamente diverse e aprirsi al manifestarsi nel concreto del desiderio di un'altra può essere molto più gratificante che appiccicargli addosso esperienze o emozioni che non le appartengono. Fra l'altro il giudizio agito in questi termini ostacola la vicinanza emotiva: chi lo subisce percepisce immediatamente a livello fisico la violenza e, anche se non la riconosce, sente una distanza incolmabile e la difficoltà di condividere profondamente i moti del cuore. Il passo da fare per alcune può essere enorme perché necessita un'apertura dell'anima, uno scoprirsi che in quelle condizioni può rivelarsi un'impresa titanica. La discussione si sposta ad un livello razionale in cui si tratta di smontare la certezza che l'altra ha già in mente con tutte le prove a carico e, come se non bastasse, si aggiunge un altro elemento critico per e donne: la credibilità e, di nuovo, l'esperienza di non essere credute. Se pensiamo che l'altra stia agendo per noncuranza, come farà a dimostrarci il contrario? Pensa a quante volte ti è stato imposto di giustificarti, ecco, non credo serva altro.
Eppure Rosenberg dice che si può fare. Ricordo perfettamente numerose occasioni in cui parlando con le mie figlie che si lamentavano di compagni di scuola molesti, le invitavo a spiegare loro come si sentivano quando succedeva questo e quello. Le prime volte mi stavano a sentire poi mi hanno detto: ma mamma, pensi davvero che se io spiego a tizio come mi sento quello non si metta semplicemente a ridere e a fare peggio di prima?
Rosenberg sostiene di no ma forse non si ricorda com'erano i tempi delle medie.
Comunque la frase magica che Rosenberg suggerisce in questi casi è: quando succede questo e quello io MI SENTO così perché VORREI cosà. No, non è facile e va anche approfondita nei dettagli. Ma questo alla prossima puntata.
Intanto, come in conclusione di ogni puntata ripeto, proprio per esperienza, che leggere queste parole e anche sentirsi profondamente in accordo NON BASTA. Quello che cambia le cose è STUDIARE (tantissimo) e AGIRE ciò che si è studiato, guardare la realtà criticamente, ogni minuto, ogni virgola, tornare sui propri passi, chiedere comprensione e portare un altro modo in ogni realtà che ci troviamo a vivere. Le impostazioni patriarcali ci sono state passate col latte materno, ci sembrano naturali, pratiche ed efficaci e soprattutto le usano tutte (o quasi). Spostarsi e agire diversamente è noioso, faticoso, difficile e può sembrare inconcludente oltre ad esporci ad accuse di ogni tipo, sapevatelo, ma mica a caso ho parlato di audacia.
Ed ecco quindi il consiglio di lettura di questa settimana: "Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte" di Marianella Sclavi
Domenica scorsa ho accennato al giudizio e mi è stato chiesto di tornarci e approfondire perché in fondo il giudizio serve in un sacco di situazioni, ci fa percepire cosa ci piace e cosa no, perché dovrebbe esserci qualcosa di male ne giudicare? Pensa a quando qualcuna ti ha detto: Non essere egoista! Come sei permalosa! Ma lo sai che sei rigida?
Il giudizio ci riduce ad una sola dimensione, nega la strepitosa molteplicità che conteniamo sia in chi lo esercita che in chi lo subisce e la sua reiterazione non fa che confermarci che è una cosa normale e naturale mentre non lo è affatto (come ogni cosa che comincia con 'mono' d'altronde).
Il giudizio, per come viene descritto nei percorsi di comunicazione non violenta, non ha a che fare con la propria personale valutazione di ciò che è giusto o sbagliato per noi ma di ciò che va bene o meno in quello che fanno gli altri, e in particolare, riguarda le loro intenzioni, ciò che muove il loro agire.
Riprendo l'esempio che mercoledì ho pubblicato come citazione da "Le parole sono finestre oppure muri" di Marshall Rosenberg: una donna dice al marito che secondo lei passa troppo tempo al lavoro e lui nel giro di pochi giorni si iscrive ad un corso di golf. Cosa pensi, tu che stai leggendo, che lei sarà contenta o no? La risposta più scontata sarebbe: no, lei lo diceva perché vorrebbe che lui passasse più tempo con lei e lui si è iscritto al corso di golf per stare meno possibile a casa con lei. Questa interpretazione ricalca perfettamente lo stereotipo della casalinga frustrata e dell'uomo d'affari che cerca svago. Ci sono mille altre possibilità: ad esempio lui ha problemi di ipertensione e lei era preoccupata per la sua salute, lui concorda e ha scelto attività all'aria aperta che lo rilassano quindi la scelta del golf fa contente tutte.
Un altro esempio: i due hanno una figlia che sta cercando uno studio in cui fare praticantato come avvocata e lui preso dal suo lavoro non se ne occupa, un campo da golf è il luogo migliore per trovare titolari di studi prestigiosi a cui proporre di darle una possibilità. Ancora: i due sono soci e amministratori di una società e lei per motivi di salute ha scelto di limitare il tempo che passa in azienda ma si è accorta che in sua assenza lui combina guai, potrebbe fare qualunque cosa e lei sarebbe comunque contenta, purché non vada in ufficio.
La nostra mente, in condizioni di mancanza di informazioni tende a riempire i pezzi mancanti con le esperienze precedenti (o, peggio, con il racconto della realtà predominante) per permetterci di interpretare la situazione in tempi brevi. Il problema, nelle relazioni fra esseri umani, nasce nel momento in cui chi abbiamo di fronte non è un oggetto pesante che nel vuoto tende a cadere e quindi dobbiamo fare attenzione che non lo faccia su un nostro piede, ma una persona il cui agire può essere mosso da così tante motivazioni e condizioni diverse che, se proprio vogliamo saperle, non possiamo fare altro che chiederle. Anche se ci sembra palese, anche se non ci vengono in mente alternative, soprattutto se ci fa male, la miglior cosa da fare per noi e per l'altra è molto semplice: chiedere.
Pensare di sapere (e magari dire a lei o, peggio, ad altre) quali intenzioni hanno portato l'altra ad agire può essere un grande atto di presunzione e una forma di violenza, anche verso se stesse. Il fatto che ci sia capitato di vivere una situazione simile e di agire in modi simili non vuol dire necessariamente che le motivazioni siano le stesse. Preciso: non sto, ovviamente, io stessa mettendo in discussione le intenzioni, ma le modalità e gli effetti che si spera di ottenere. Siamo tutte meravigliosamente diverse e aprirsi al manifestarsi nel concreto del desiderio di un'altra può essere molto più gratificante che appiccicargli addosso esperienze o emozioni che non le appartengono. Fra l'altro il giudizio agito in questi termini ostacola la vicinanza emotiva: chi lo subisce percepisce immediatamente a livello fisico la violenza e, anche se non la riconosce, sente una distanza incolmabile e la difficoltà di condividere profondamente i moti del cuore. Il passo da fare per alcune può essere enorme perché necessita un'apertura dell'anima, uno scoprirsi che in quelle condizioni può rivelarsi un'impresa titanica. La discussione si sposta ad un livello razionale in cui si tratta di smontare la certezza che l'altra ha già in mente con tutte le prove a carico e, come se non bastasse, si aggiunge un altro elemento critico per e donne: la credibilità e, di nuovo, l'esperienza di non essere credute. Se pensiamo che l'altra stia agendo per noncuranza, come farà a dimostrarci il contrario? Pensa a quante volte ti è stato imposto di giustificarti, ecco, non credo serva altro.
Eppure Rosenberg dice che si può fare. Ricordo perfettamente numerose occasioni in cui parlando con le mie figlie che si lamentavano di compagni di scuola molesti, le invitavo a spiegare loro come si sentivano quando succedeva questo e quello. Le prime volte mi stavano a sentire poi mi hanno detto: ma mamma, pensi davvero che se io spiego a tizio come mi sento quello non si metta semplicemente a ridere e a fare peggio di prima?
Rosenberg sostiene di no ma forse non si ricorda com'erano i tempi delle medie.
Comunque la frase magica che Rosenberg suggerisce in questi casi è: quando succede questo e quello io MI SENTO così perché VORREI cosà. No, non è facile e va anche approfondita nei dettagli. Ma questo alla prossima puntata.
Intanto, come in conclusione di ogni puntata ripeto, proprio per esperienza, che leggere queste parole e anche sentirsi profondamente in accordo NON BASTA. Quello che cambia le cose è STUDIARE (tantissimo) e AGIRE ciò che si è studiato, guardare la realtà criticamente, ogni minuto, ogni virgola, tornare sui propri passi, chiedere comprensione e portare un altro modo in ogni realtà che ci troviamo a vivere. Le impostazioni patriarcali ci sono state passate col latte materno, ci sembrano naturali, pratiche ed efficaci e soprattutto le usano tutte (o quasi). Spostarsi e agire diversamente è noioso, faticoso, difficile e può sembrare inconcludente oltre ad esporci ad accuse di ogni tipo, sapevatelo, ma mica a caso ho parlato di audacia.
Ed ecco quindi il consiglio di lettura di questa settimana: "Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte" di Marianella Sclavi