Da un po’ di tempo evito di pubblicare sui social altro che non siano notizie di appuntamenti o eventi o manifestazioni o riflessioni di altre donne perché non mi piace il meccanismo interno al funzionamento delle piattaforme che premia la polemica e l’individuazione di un nemico sulla base, tipicamente, di espressioni limitate su questioni complesse.
La premessa per far percepire la difficoltà che incontro nel momento in cui io stessa metto all’indice qualcosa (e non qualcuna) perché ne sento l’urgenza e la necessità. Mi riferisco in particolare alle proposte di lavoro sugli archetipi e, in particolare, quelle che, basandosi sul lavoro di Jean Shinoda Bolen (Le Dee dentro la donna - una nuova psicologia al femminile), suddividono le dee in “vergini” e “vulnerabili”. Già le parole che vengono usate presuppongono una scelta di campo e un giudizio: chiunque legga preferirebbe sentirsi vergine o vulnerabile? E chi leggendo più nel dettaglio si identificasse con le vergini quanto sarebbe spinta a metterebbe in discussione gli aspetti problematici (che comunque Bolen descrive) rispetto a chi si identificasse con le vulnerabili? E chi delle due avrebbe più difficoltà nel costruirsi un’idea di sé di potere? Mettiamo che io abbia una figlia naturalmente portata all’accudimento, che fin da piccolina inseguiva i bambini più piccoli per coccolarli, che passava ore a giocare con le bambole e a immaginarsi mentre gli fa da mangiare, che non ha avuto dubbi nel percorso di studi rispetto al diventare O.S. con grande profitto e successo e anche gioia. Ha un sacco di amiche e amici da tantissimo tempo con cui coltiva relazioni profonde. Come deve sentirsi nel leggere la descrizione del profilo di Demetra nel libro di Bolen? La parola è molto semplice: sbagliata. Mettiamo che io abbia un’altra figlia, stessa madre, stessa formazione, stesso femminismo, eppure questa passava il tempo sugli alberi e a girare da sola nei boschi col cane. Ha poche amiche accuratamente selezionate e nel tempo non fa fatica a farsi nuove amicizie, a lasciare e riprendere quelle vecchie e quelle nuove. Cambia spesso fidanzat3, viaggia molto, frequenta musei e biblioteche e segue un percorso di studi generico che ancora non sa bene dove la porterà. Leggendo il profilo di Atena o Artemide nel libro di Bolen si sentirà una gran figa con qualche angolino da smussare, volendo... Il problema del libro, secondo me, è che nella foga di rigettare lo stereotipo femminile patriarcale si rischia di buttare via la bambina con l’acqua sporca. Anni fa frequentai una serie di incontri in una biblioteca fiorentina proprio dedicati a descrivere il contenuto di questo libro. Posi questa questione durante la discussione e la donna che avevo vicino mi chiese: ma tu preferiresti che tua figlia fosse come Persefone o come Artemide? Risposi che preferirei che fosse come vuole lei: che usasse l’analisi di Bolen come chiara indicazione che non c’è nulla, nel proprio essere, di assolutamente giusto o sbagliato e che il valore più grande è quello della consapevolezza e, quindi della libertà. Il lavoro fatto alla Casa nell'ambito del progetto Le Signore del Gioco ci ha permesso di entrare in profondo contatto con l'archetipo partendo dal racconto che ce ne è arrivato, come fa Bolen, ma andando poi oltre, guardandolo criticamente per individuare cos'è che non funziona, che non ha senso, che qualunque donna riconosce immediatamente come assurdo e invece sono millenni che ce lo facciamo raccontare prendendolo come dato. Il mito è ciò che costruisce la nostra immagine di noi ed è fermo ad un tempo in cui è stato modellato su un'idea di società gerarchica, non egualitaria, violenta, falsamente meritocratica e oppressiva verso le minoranze. Sappiamo benissimo che è così eppure ad ogni cambio di stagione ariborda con Persefone rapita da Ade che alla fine si innamora (perché notoriamente le donne alla fine si innamorano dei loro stupratori), Era che continua a restare con Zeus nonostante i tradimenti (e si sa che sono le donne che vogliono restare nelle coppie, mica gli uomini che infatti quando scappano le ammazzano), Demetra che non può vivere senza la figlia e non trova altro strumento di affermazione di sé della ripicca e così via. Davvero è questo il racconto che vogliamo passare alle nostre figlie? Davvero vogliamo continuare a dipingerle come vergini o vulnerabili? Ah, già ma come dimenticare Afrodite, il giusto mezzo, la Dea alchemica che trasforma tutto ciò che tocca. Lo dico per esperienza, Afrodite sa essere morbida e glaciale contemporaneamente, sa stritolare nel sonno, sa riempire i sogni di mostri trasformando quello che era una semplice attrazione in una passione malsana e incosciente. Tutti gli archetipi hanno i loro aspetti complessi e mostruosi, esattamente come noi eppure pochi lavori in cerchio ho scoperto essere trasformativi quanto la ricerca archetipica. Possiamo costruire insieme nuovi miti che siano fondativi della comunità nello stesso tempo unita e dispersa che è La Casa delle Streghe? Lazara Firefox Allen ha iniziato questo lavoro con il suo libro Jailbreaking the Goddess a cui ho dedicato un ciclo di puntate del podcast (l'elenco delle puntate qui). Da quando qualche anno fa visitai una mostra sulle rappresentazioni della Dea e mi fecero notare (grazie sempre Manuela Candini, chi volesse fare un bel corso con lei in zona Bologna legga qui) che da quando la Dea è diventata "bella" ci hanno fregate tutte, ho cominciato ad interrogarmi sulla mia ricerca e su come me la fossi immaginata questa Dea, da Persefone a Demetra, da Artemide a Vesta. Sì, me la sono immaginata in forma umana e bella, secondo la mia personale idea di bellezza, ma la questione resta. Come posso davvero vivere la sacralità immanente in ogni essere senziente se comunque la mia immagine della Dea resta umana, come se quella forma fosse superiore a quella di qualunque albero o pietra o volpe? Da qui inizia la nuova ricerca, ancora non ci sono date e appuntamenti ma ci sono bozze di sentiero su cui già si è mosso qualche passo, radure in cui fermarsi, pensieri e desideri che spaziano dalle pietre alle cordate alle piante alle tinture, ai colori e alla tessitura. Teniamoci strette e non perdiamoci di vista. Il simbolo della tradizione della donna saggia è una spirale. Una spirale è un ciclo che si muove attraverso il tempo. Una spirale è movimento intorno e al di là di un cerchio, sempre ritornando a se stesso, ma mai esattamente nello stesso posto. Le Spirali mai si ripetono. Susun Weed Se vuoi sapere quando saranno i prossimi appuntamenti di ricerca-azione archetipica in cerchio scrivi a [email protected] o iscriviti alla newsletter dal form che trovi qui.
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Chi scrive quiAnnalisa Biancardi De Luca Battaglia. Sempre in cerca di ciò che è autentico, fra boschi, vette, valli, foreste, cuori e musei... Archivi
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