2) Nessuna è perfetta, lo siamo tutte - spunti per un'audace depatriarcalizzazione
Eccoci alla seconda puntata della serie "Nessuna è perfetta, lo siamo tutte" che esce ogni domenica sulla pagina FB e il profilo IG de La Casa delle Streghe. Se ti sei persa quella della settimana scorsa la trovi scorrendo fra i post della pagina oppure su questo sito nella pagina delle Incantesime femministe (con il tempo necessario alla pubblicazione).
Come preannunciato oggi parliamo di cosa l'altra dovrebbe fare per risolvere. Premetto che per la lettura e piena comprensione di quanto segue sarebbe importante aver letto e praticato almeno un minimo di Comunicazione Non Violenta (CNV) in modo da capirsi su cosa intendo per 'giudizio', cioè, in sintesi, la convinzione di poter interpretare le intenzioni altrui sulla base dei comportamenti (es. se non mi telefoni una volta al giorno non ti interessa come sto).
Sappiamo tutte vero che lo strumento educativo principale della cultura patriarcale è il senso di colpa che si declina principalmente nel ricatto emotivo? Ti voglio bene se fai la brava e fare la brava vuol dire principalmente risolvere problemi. Se sei donna i problemi non sono solo i tuoi ma anche quelli degli altri. Fin qui potrebbe anche trattarsi di un buon addestramento, la questione si pone nel momento in cui la società patriarcale è strutturata in modo da creare continuamente problemi e non tutte vengono messe nella condizione di poterli risolvere, anzi, le disuguaglianze su cui poggiano i privilegi di alcune rispetto ad altre (perché non sono bianche, abili, giovani, cisgender e più o meno benestanti, ecc.) hanno proprio a che fare con la possibilità, e non la capacità, di risolvere i problemi. Il principio funziona benissimo: appena abbiamo un problema ci parte subito in testa (coi suoi riflessi corporei) il pensiero: è colpa mia? Tendenzialmente la risposta è sì, che sia vero o meno. Secondo passaggio: di chi altra? Perché già essere in due fa sentire meglio. Terzo passaggio: soluzione? Prima adotto la soluzione meno persone se ne accorgeranno e magari non smetteranno di stimarmi/amarmi/ascoltarmi.
Ma se il problema nasce in una relazione? Beh, allora devo far presente all'altra il problema e la soluzione in modo che possiamo risolvere e magari farle anche capire che è principalmente colpa sua ma le voglio bene e quindi se fa come dico io si risolverà tutto. Tipicamente questa strategia consiste in un invito a parlare in cui se quella che ha visto il problema è abbastanza "evoluta" in termini di peace and love ti dirà: questa cosa mi fa stare così e così tu cosa pensi di fare? E tu magari fai una proposta. Se la proposta è "adatta" alla soluzione immaginata da chi pone il problema, bene, altrimenti vuol dire che l'altra probabilmente vede il tuo comportamento come un tentativo di sottrarti alla relazione, avrai per sempre la colpa di non aver voluto risolvere il problema e su questo al momento non ho altri suggerimenti se non la fuga. La consapevolezza del peso del giudizio nella relazione è il primo passo per trovare una soluzione condivisa ma se da una parte manca io per ora non ho trovato alternative.
Quello che mancava nella comunicazione precedente è il desiderio cioè impostare la comunicazione su un'idea ampia di possibilità di condivisione dicendo: quando succede così e così, mi sento così e così, perché VORREI. Un'altra caratteristica della cultura patriarcale è la negazione del desiderio considerato qualcosa di quantomeno egoista se non blasfemo (solo Dio sa cosa è bene per te, al massimo il prete che è il Suo tramite). Su questo ho insistito molto nel podcast quindi rimando a quello. Esprimere il proprio desiderio sulla relazione non significa dire cosa dovrebbe fare l'altra, ma aprirsi anche al desiderio altrui e sulla base di quello trovare una strategia condivisa.
Mettiamo invece che l'altra ti convochi con il chiaro intento di litigare, tutto sommato è meglio perché, pur essendo piena di giudizio (altrimenti non sarebbe arrabbiata) lo rende evidente e diventa più facile smontarlo e avviare la discussione su altri piani (ma non è detto che funzioni, nel caso torniamo alla fuga). In ogni caso tutto ciò va fatto guardandosi in faccia, questo è un elemento essenziale, se la discussione deve avvenire per telefono o on line ribadisco l'invito a darsela a gambe.
Tutto questo, anche sapendolo, non viene naturale né automatico e non ho problemi a dire che, anche su questo, sono stata da entrambe le parti esattamente come descrivo sopra.
Ripeto, proprio per esperienza, che leggere queste parole e anche sentirsi profondamente in accordo NON BASTA. Quello che cambia le cose è STUDIARE (tantissimo) e AGIRE ciò che si è studiato, guardare la realtà criticamente, ogni minuto, ogni virgola, tornare sui propri passi, chiedere comprensione e portare un altro modo in ogni realtà che ci troviamo a vivere. Le impostazioni patriarcali ci sono state passate col latte materno, ci sembrano naturali, pratiche ed efficaci e soprattutto le usano tutte (o quasi). Spostarsi e agire diversamente è noioso, faticoso, difficile e può sembrare inconcludente oltre ad esporci ad accuse di ogni tipo, sapevatelo, ma mica a caso ho parlato di audacia.
Il consiglio di lettura di questa settimana è "Le parole sono finestre [oppure muri] - Introduzione alla Comunicazione Nonviolenta di Marshall B. Rosenberg. Esserci Ed.
Come preannunciato oggi parliamo di cosa l'altra dovrebbe fare per risolvere. Premetto che per la lettura e piena comprensione di quanto segue sarebbe importante aver letto e praticato almeno un minimo di Comunicazione Non Violenta (CNV) in modo da capirsi su cosa intendo per 'giudizio', cioè, in sintesi, la convinzione di poter interpretare le intenzioni altrui sulla base dei comportamenti (es. se non mi telefoni una volta al giorno non ti interessa come sto).
Sappiamo tutte vero che lo strumento educativo principale della cultura patriarcale è il senso di colpa che si declina principalmente nel ricatto emotivo? Ti voglio bene se fai la brava e fare la brava vuol dire principalmente risolvere problemi. Se sei donna i problemi non sono solo i tuoi ma anche quelli degli altri. Fin qui potrebbe anche trattarsi di un buon addestramento, la questione si pone nel momento in cui la società patriarcale è strutturata in modo da creare continuamente problemi e non tutte vengono messe nella condizione di poterli risolvere, anzi, le disuguaglianze su cui poggiano i privilegi di alcune rispetto ad altre (perché non sono bianche, abili, giovani, cisgender e più o meno benestanti, ecc.) hanno proprio a che fare con la possibilità, e non la capacità, di risolvere i problemi. Il principio funziona benissimo: appena abbiamo un problema ci parte subito in testa (coi suoi riflessi corporei) il pensiero: è colpa mia? Tendenzialmente la risposta è sì, che sia vero o meno. Secondo passaggio: di chi altra? Perché già essere in due fa sentire meglio. Terzo passaggio: soluzione? Prima adotto la soluzione meno persone se ne accorgeranno e magari non smetteranno di stimarmi/amarmi/ascoltarmi.
Ma se il problema nasce in una relazione? Beh, allora devo far presente all'altra il problema e la soluzione in modo che possiamo risolvere e magari farle anche capire che è principalmente colpa sua ma le voglio bene e quindi se fa come dico io si risolverà tutto. Tipicamente questa strategia consiste in un invito a parlare in cui se quella che ha visto il problema è abbastanza "evoluta" in termini di peace and love ti dirà: questa cosa mi fa stare così e così tu cosa pensi di fare? E tu magari fai una proposta. Se la proposta è "adatta" alla soluzione immaginata da chi pone il problema, bene, altrimenti vuol dire che l'altra probabilmente vede il tuo comportamento come un tentativo di sottrarti alla relazione, avrai per sempre la colpa di non aver voluto risolvere il problema e su questo al momento non ho altri suggerimenti se non la fuga. La consapevolezza del peso del giudizio nella relazione è il primo passo per trovare una soluzione condivisa ma se da una parte manca io per ora non ho trovato alternative.
Quello che mancava nella comunicazione precedente è il desiderio cioè impostare la comunicazione su un'idea ampia di possibilità di condivisione dicendo: quando succede così e così, mi sento così e così, perché VORREI. Un'altra caratteristica della cultura patriarcale è la negazione del desiderio considerato qualcosa di quantomeno egoista se non blasfemo (solo Dio sa cosa è bene per te, al massimo il prete che è il Suo tramite). Su questo ho insistito molto nel podcast quindi rimando a quello. Esprimere il proprio desiderio sulla relazione non significa dire cosa dovrebbe fare l'altra, ma aprirsi anche al desiderio altrui e sulla base di quello trovare una strategia condivisa.
Mettiamo invece che l'altra ti convochi con il chiaro intento di litigare, tutto sommato è meglio perché, pur essendo piena di giudizio (altrimenti non sarebbe arrabbiata) lo rende evidente e diventa più facile smontarlo e avviare la discussione su altri piani (ma non è detto che funzioni, nel caso torniamo alla fuga). In ogni caso tutto ciò va fatto guardandosi in faccia, questo è un elemento essenziale, se la discussione deve avvenire per telefono o on line ribadisco l'invito a darsela a gambe.
Tutto questo, anche sapendolo, non viene naturale né automatico e non ho problemi a dire che, anche su questo, sono stata da entrambe le parti esattamente come descrivo sopra.
Ripeto, proprio per esperienza, che leggere queste parole e anche sentirsi profondamente in accordo NON BASTA. Quello che cambia le cose è STUDIARE (tantissimo) e AGIRE ciò che si è studiato, guardare la realtà criticamente, ogni minuto, ogni virgola, tornare sui propri passi, chiedere comprensione e portare un altro modo in ogni realtà che ci troviamo a vivere. Le impostazioni patriarcali ci sono state passate col latte materno, ci sembrano naturali, pratiche ed efficaci e soprattutto le usano tutte (o quasi). Spostarsi e agire diversamente è noioso, faticoso, difficile e può sembrare inconcludente oltre ad esporci ad accuse di ogni tipo, sapevatelo, ma mica a caso ho parlato di audacia.
Il consiglio di lettura di questa settimana è "Le parole sono finestre [oppure muri] - Introduzione alla Comunicazione Nonviolenta di Marshall B. Rosenberg. Esserci Ed.